La Bibbia di Ripacandida
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<Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto> (Gen 2, 3)
Dall’analisi di questo passo, gli antichi commentatori della Torà svilupparono una interessante interpretazione. Poiché al settimo giorno veniva nominato il riposo di Dio, arrivarono alla conclusione che “vi è un atto di creazione del settimo giorno”, la “menuchà”, il sabato. Questa è la creazione del riposo.
Ma secondo questa antica tradizione la “menuchà” non è solo il riposo, è quella esperienza di silenzio, di pace e di armonia che i Sabato (per gli Ebrei) diffonde nell’universo, consentendo quella pienezza di senso che è un’anticipazione della vita eterna.
Il Santuario di San Donato in Ripacandida è questa esperienza della “menuchà”, è l’esperienza del silenzio e della contemplazione di fronte ai “mirabilia Dei”, le meraviglie del creato: “Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature…”
A Ripacandida come ad Assisi, salendo verso il Santuario, si fa l’esperienza della “menuchà”.
Rassegna stampa sul Gemellaggio fra la Chiesa di san Donato e la Basilica di san Francesco in Assisi
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Rassegna stampa sul Gemellaggio del 2004
La Gazzetta del Mezzogiorno (2/7/2004)
Il Quotidiano della Basilicata (29/7/2004)
La Gazzetta del Mezzogiorno (25/9/2004)
La Gazzetta del Mezzogiorno (2/10/2004)
La Nuova Basilicata (5/10/2004)
Il Quotidiano della Basilicata (4/8/2004)
Il Quotidiano della Basilicata (6/8/2004)
Il Quotidiano della Basilicata (7/9/2004)
Il Ponte del capello
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Si tratta di un particolare
che appena si scorge al lato di una nicchia ricavata nella parete di destra della prima campata della chiesa di San Donato, dove è rappresentato l'Inferno. Il frammento dell'affresco richiama quello analogo conservato invece integro di Santa Maria in Piano a Loreto Aprutino,
e che rappresenta la prova a cui vengono sottoposte le anime: esse riescono ad attraversare un ponte, che al culmine diviene sottile come un capello, solo se libere e leggere dai peccati. L’iconografia del Ponte del Capello rimanda alla cultura orientantale, in particolare a quella greco-bizantina e alla tradizione dello zoroastrisma, ma anche alla la Visione di Alberico da Settefrati, cui certamente si è ispirato lo stesso Dante nella Divina Commedia. Nella Visione, il monaco di Montecassino Alberico da Settefrati (1100) descrive un ponte su un fiume, che le anime riescono a passare solo se sono leggere e con pochi peccati. Esse poi sono accolte da un angelo e arrivano al cospetto di San Michele Arcangelo (psicopompo=pesatore delle anime). L'identificazione del frammento dell'Inferno a San Donato con il "Ponte del capello" si deve a Ruggero D'oronzo, con la sua pubblicazione La chiesa di San Donato a Ripacandida. Storia e arte di un santuario lucano dimenticato